Panamà

03.07.2012 23:04

 

È la storia di una vittoria dell’uomo sulla natura,

ma anche di una lunga lotta in nome del dio denaro.

di Chiara Cossu

Da sempre l’uomo cerca soluzioni alle proprie necessità.

Quella di muoversi nello spazio accorciando le distanze è tra le più affascinanti, quella per cui con le mani e l’ingegno ha sfidato le forze della natura, piegandole spesso alla sua volontà.

Per esempio ha trasformato una traversata di 60 giorni in 8 ore di navigazione, riuscendo a passare dall’Oceano Atlantico al Pacifico senza circumnavigare il Sudamerica. Ma,soprattutto, lo ha fatto senza tagliare completamente la terra, grazie a un sistema di navigazione particolare dove il livello dell’acqua si alza e si abbassa come fosse una vasca da bagno. Un canale, sull’istmo di Panamà, in cui le imbarcazioni navigano sopra il livello del mare.

15 AGOSTO 1914

Ancón, cargo statunitense, è la prima nave che attraversa il neonato canale di Panamà. Avviene così l’apertura ufficiale di quest’imponente opera d’ingegneria, un po’ in sordina e in attesa di atmosfere più serene. Neanche due mesi, infatti, separano quest’evento da un altro, l’attentato di Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando d’Este, passato alla storia come la miccia esplosiva della prima guerra mondiale.

Una cerimonia ci sarà, nel 1920 però, quando attraverso le chiuse saranno già passate migliaia di navi di tutti i tipi e merci di ogni sorta.

L’INTUIZIONE DI CARLO V

Ma se il canale diventa una realtà nel XX secolo, l’idea di realizzarlo risale a molto tempo prima, a quando l’uomo europeo ha messo piede nel continente americano.

Siamo infatti nel 1524 e l’istmo è già un punto di transito fondamentale per le ricchezze provenienti dal Perù.

È per questo motivo che il re Carlo V di Spagna ordina uno studio di fattibilità per la costruzione di una via d’acqua che attraverso Panamà colleghi l’Atlantico e il Pacifico. Un’impresa abbandonata ancora prima dell’inizio a causa degli scarsi mezzi tecnici e delle difficoltà insormontabili per le conoscenze ingegneristiche del tempo. Il tentativo della Spagna quindi muore,e dopo tre secoli muore anche il suo dominio sul territorio, che nel 1821 si dichiara indipendente annettendosi volontariamente alla Colombia.

IL TENTATIVO FRANCESE

Numerosi altri progetti si susseguono, tutti destinati però a rimanere sulla carta fino a quando, nel 1881, il governo colombiano incarica una società francese di costruire una via navigabile attraverso l’istmo. Si chiama “Compagnia Universale del Canale interoceanico di Panamà” e a presiederla c’è un celebre ingegnere, uno che di canali se ne intende.

È Ferdinand Marie de Lesseps, colui che ha coordinato i lavori del Canale di Suez, inaugurato nel 1869. Il suo nuovo progetto incontra però difficoltà tecniche, finanziare e non solo.

Il primo segnale d’arresto è dato innanzitutto dall’ostilità delle condizioni ambientali: il clima tropicale, che dà al territorio il caratteristico aspetto paludoso della giungla, favorisce l’insorgere di malaria, tifo e febbre gialla. Quindi, la morte di 22 mila lavoratori.

De Lesseps è costretto dapprima a cedere la direzione dei lavori a Gustave Eiffel, altro nome illustre dell’ingegneria francese dell’epoca. Di lì a poco resta coinvolto in uno scandalo in Francia, e le accuse di malversazione e corruzione segnano il fallimento nel 1889 della società.

È la fine dell’avventura francese a Panamà e l’inizio della fortuna degli Stati Uniti sull’istmo.

ARRIVANO GLI AMERICANI

Come altre potenze economiche, anche gli Usa puntano gli occhi sul centro America, realizzando tra il 1848 e 1855 una tratta ferroviaria, la “Transcontinental railroad of the Americas”.

Per ragioni più militari che commerciali, nel 1901 il presidente Roosevelt avvia il progetto di una via di transito fluviale in Nicaragua,ma qualcosa sposta immediatamente l’attenzione su Panamà.

Servita su un piatto d’argento c’è infatti la possibilità di rilevare il cantiere francese abbandonato e acquisirne i diritti a una cifra irrisoria.

Il governo americano non ci pensa due volte e nello stesso anno firma con la Colombia un accordo che autorizza gli Stati Uniti,oltre che alla costruzione, anche alla gestione del canale per 100 anni.

Ma nel 1903, in un sussulto di orgoglio nazionale, la Colombia non ratifica il trattato. Una soluzione, in realtà, gli Stati Uniti già ce l’hanno: fomentare una sommossa popolare e sostenerla con la minaccia dell’intervento militare.

È così che nasce la Repubblica indipendente di Panamà, sotto la pesante “tutela” degli Usa che naturalmente ottengono dal nuovo governo locale la concessione del controllo sulla “canal zone” in cambio di 10 milioni di dollari e di un affitto annuo di 250.000.

Il cantiere riapre nel 1904, ma in quell’anno inizia soprattutto l’attacco serrato alle zanzare che decimano gli operai. In un primo tempo si lavora sulla traccia della costruzione di un canale a livello, come previsto dal progetto originario di de Lesseps.

Ma le difficoltà a condurre scavi tanto profondi invitano il nuovodirettore dei lavori, il colonnello G. Goethals, a escogitare un’altra soluzione ingegneristica.

Nel 1907 è all’avvio il progetto dell’ingegnere dell’esercito americano: una via d’acqua sopra il livello del mare gestita da un sistema di chiuse.

COME FUNZIONA IL CANALE

Il canale è infatti un sistema di navigazione eseguito in terra che percorre tre chiuse - specie di ascensori ad acqua - e tre laghi artificiali creati appositamente per permettere alle imbarcazioni di superare forti dislivelli.

Ogni chiusa, che sopporta il transito nelle due opposte direzioni,è delimitata da una coppia di porte ed è compresa tra due muri longitudinali in cui sono collocate le bocche di adduzione e scarico che aumentano e diminuiscono il livello dell’acqua.

Non appena una nave varca la prima porta, questa subito si chiude alle sue spalle per consentire il pompaggio o lo svuotamento dell’acqua necessaria a raggiungere il livello del tratto successivo da attraversare. Terminata questa fase, la nave viene guidata e trainata dalle “mulas”,locomotive elettriche.

Ma per comprendere il principio di funzionamento di questo alveo artificiale lungo 81 chilometri, il modo più semplice è immaginare di percorrerlo.

Nell’intraprendere a grandi linee questo viaggio, il problema fondamentale quello di superare l’altopiano interno e per farlo, imboccando il canale dall’Atlantico,dovremo salire di quota rispetto al livello del mare. Così, percorsi 23 chilometri dal mar delle Antille,raggiungeremo la conca artificiale di Gatùn che si trova a ben 26 metri sopra il livello del mare. È qui che entra in gioco la prima chiusa, quella di Gatùn appunto, che ci permetterà di salire fino al livello del lago.Proseguiremo quindi verso sud-est per imboccare il Taglio di Gaillard, che prende il nome da uno dei suoi costruttori ma è anche conosciuto come Trincea della Culebra.

Al termine di questo incontreremo il secondo sistema di chiuse, quelle di Pedro Miguel, che abbasseranno il livello dell’acqua di oltre 9 metri, il tanto che serve ad adeguarsi al livello del Lago Miraflores, 16,5 metri.

Ci resta da prendere l’ultimo “ascensore”, ovvero entrare nelle chiuse di Miraflores che ci riporteranno al livello del mare, più precisamente a quello dell’Oceano Pacifico. Sembra infatti che il suo livello superi di 20 centimetri quello dell’Atlantico.

Per compiere questo “sali-scendi” avremo impiegato tra le otto e le dieci ore, circondati da una rigogliosa vegetazione, ma anche da quel che resta delle vecchie basi militari statunitensi.

LA LUNGA LOTTA PER LA SOVRANITÀ

La storia del canale di Panamà non termina dove l’abbiamo interrotta, cioè nel 1907, quando ha preso vita l’imponente progetto del colonnello Goethals.

Non finisce neanche nel 1914, quando la nave Ancòn varca per prima le chiuse. Va molto oltre, fondendosi con la vita politica ed economica dei panamensi e, soprattutto, alimentando un’estenuante lotta per il riconoscimento della sovranità dello stato centroamericano sulla via d’acqua, punto di snodo di enormi interessi economici.

Continua invece con la Colombia che non si arrende all’idea di aver perso il dominio su un pezzo di terra che sta diventando una vera e propria miniera d’oro.

Fino al 1921 però, quando gli Usa decidono di sedare il languore colombiano con un accordo, o meglio con un indennizzo di 25 milioni di dollari.

Ma a questo punto è lo stesso governo panamense ad avanzare pretese diverse da quanto ingenuamente pattuito con il “partner” americano. Dopo un lungo, e affatto pacifico, tira e molla sul rinnovo della concessione stipulata nel 1903, Panamà riesce a ottenere nel 1955 l’aumento del canone annuo: gli Usa non corrisponderanno più 250 mila dollari ma 1 milione e 930 mila dollari.

Una situazione politica traballante caratterizza la vita della giovane Repubblica, nata più per esigenze esterne che interne.

Basti pensare che nel giro di quindici anni, dal 1945 al 1960, si succedono dieci presidenti, nessuno dei quali porta a termine il proprio mandato. La stessa costituzione viene modificata per ben tre volte e, come in tutta l’America centrale, ad avere il controllo sul paese sono, di volta in volta, governi d’ispirazione non propriamente democratica, fondati sul potere militare, o comunque su modi personalistici d’intendere la cosa pubblica.

La questione della sovranità sul canale, che costerà a Panamà l’occupazione militare statunitense, riesce comunque a trovare una svolta nel 1973, quando diventa oggetto dell’interesse del consiglio di sicurezza dell’Onu. È del 1977 la firma del trattato risolutivo che prende il nome dai presidenti dei due paesi contendenti, e cioè Torrjos-Carter.

Con questo documento gli Stati Uniti si impegnano a restituire la sovranità sul canale ai panamensi entro il 1999 e a pagare,inoltre, l’ennesimo indennizzo. L’America non può accettare di aver perso completamente una partita così grossa, e difatti riesce a introdurre un emendamento che l’autorizza a intervenire

in difesa del canale oltre l’anno 2000.Il 1° gennaio 2000, comunque, una cerimonia ufficiale sancisce

la sovranità dei panamensi sul canale.

PANAMÀ OGGI

Un’atmosfera più serena avvolge oggi Panamà.Ma l’illegalità connessa al passaggio di merci scottanti, quali armi,droga e denaro proveniente dal narcotraffico, nonché opere d’arte trafugate, non può considerarsi un capitolo chiuso.

A renderla una piaga ancora attuale, c’è il fatto che nessuna efficace verifica doganale presidia il transito delle imbarcazioni;un sistema, questo, ampiamente caldeggiato dall’interesse statunitense al libero commercio e favorito dalla corruzione che impregna la burocrazia locale.

Nonostante ciò, sembra che la politica recente abbia gettato le basi per una gestione più responsabile dell’interesse pubblico e per la diffusione di un maggiore senso della legalità, così come recita un’imponente scritta visibile non appena si atterra sull’istmo:

“La corrupciòn genera pobreza”, la corruzione genera povertà.

Oltre diecimila persone lavorano oggi presso la via d’acqua che costituisce ancora la maggiore fonte di ricchezza per il paese e che negli ultimi anni ha registrato un consistente incremento del proprio giro d’affari, con un aumento degli ingressi del 72%.Tuttavia, l’indotto attualmente non è generato solo dai traffici

commerciali, ma anche dal fatto che il canale rappresenta un’allettante attrazione turistica. La sua fortuna, ma soprattutto quella dei cittadini panamensi, è però destinata a esaurirsi se non dovesse esserci sufficiente attenzione a fattori di natura ecologica. È l’efficienza stessa di questa “gallina dalle uova d’oro” a essere legata alla preservazione dell’ambiente. Le chiuse divorano infatti grandi quantità d’acqua provenienti dal bacino di Gatùn, a sua volta alimentato dal fiume Chagres: qualora l’ecosistema subisse variazioni tali da ridurre la frequenza delle piogge, e quindi l’approvvigionamento idrico, il canale scomparirebbe

e al suo posto riaffiorerebbe l’istmo.

...E DOMANI

Negli ultimi anni, l’Autorità del Canale di Panama (Acp), organismo governativo deputato alla gestione dell’infrastruttura, ha investito in un progetto di ampliamento del canale, un’iniziativa nata probabilmente più da necessità di espansione che da  scrupoli di coscienza ambientalisti.

La via d’acqua è infatti ad alto rischio di obsolescenza; le dimensioni delle navi aumentano e presto potrebbero esserci problemi per il transito dei giganti del mare attraverso le chiuse.

Intanto, un referendum popolare sull’avvio dei lavori si è espresso con il 75% di voti favorevoli anche se, a dirla tutta, ad andare alle urne il 22 ottobre del 2006 è stato solo il 43% degli aventi diritto. L’inizio dei lavori per il raddoppio della capacità di transito è quindi imminente, mentre la conclusione dell’opera è prevista per il 2014. Per realizzarla serviranno 5,25 miliardi di dollari che il governo finanzierà aumentando ogni anno

i pedaggi del 3,5% per un ventennio. Ma in attesa che il progetto si concretizzi, qualcuno pensa già a soluzioni alternative. Come il Canada che, approfittando dello scioglimento dei ghiacci provocato dal riscaldamento della crosta terrestre, spera di realizzare un passaggio a nord-est, una rotta polare tra l’Atlantico e il Pacifico.

O come il vicino Nicaragua, che grazie a uno studio cino-brasiliano-giapponese potrebbe ottenere oggi quello che la storia ha spinto con un soffio un po’ più a sud.

 

 

 

 

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